Siamo arrivati ad un punto in cui è diventato inutile parlare di lavoro, la maggior parte delle attività produttive sono ferme e molti paesi hanno chiuso i loro confini e altri a breve lo faranno.
Tutto si è bloccato e forse è giusto cosi, ma io mi chiedo: il consumo di tabacco che causa la morte di oltre 8 milioni di persone all’anno, l’inquinamento dell’aria, provocato da polveri sottili, che ne uccide mezzo milione o i tumori provocati da prodotti chimici o altre sostanze cancerogene, perché non vengono combattuti con questa efficacia?
Probabilmente perché a differenza del corona virus sono malattie che non ci riguardano nell’immediato, sono vissute come una cosa improbabile o comunque lontane nel tempo o nello spazio.
Questa epidemia invece ci ha messo di fronte ad un pericolo che tocca immediatamente ognuno di noi. Ha risvegliato il nostro atavico istinto di sopravvivenza.
In altre parole quello che il coronavirus ha messo a nudo, nella maggior parte dei casi, non è l’amore verso gli altri o la vita in senso lato ma solo l’innato egoismo dell’istinto di sopravvivenza dell’individuo, spesso travestito da falso altruismo.
Si rimane a casa non per salvare qualcun altro ma per proteggere se stessi ed i propri cari.
Quando si vede qualcuno che passeggia tranquillo per strada senza alcuna protezione, ciò che preoccupa non è il fatto che si possa ammalare, (se l’è cercata), ma che possa infettare noi.
L’istinto di sopravvivenza non è qualcosa che può essere razionalizzato, ma fa parte delle nostre emozioni primarie. Picchiare i cinesi o gli orientali, come successo nella prima fase della pandemia. Ghettizzare gli italiani, come nella seconda fase. Prendere d’assalto i supermercati, calpestando gli altri per accaparrarsi i prodotti. Guardare il prossimo come un possibile untore, ne sono la prova.
Mi chiedo se rimanesse un letto di terapia intensiva libero, e ci fossero diverse persone che ne avessero bisogno, cosa succederebbe? I parenti si picchierebbero, arriverebbero ad uccidersi a vicenda?
La sanità in Itala oggi incide per circa un 9% del PIL. Occorre ricordare che la quota destinata alla spesa sanitaria è sempre frutto di un compromesso con le altre voci della spesa pubblica. Se la spesa destinata alla sanità fosse il doppio si potrebbero curare meglio diverse patologie, fare molta più prevenzione ed in definitiva salvare più vite, ma andremmo a togliere risorse ad altri settori. Se fosse minore, probabilmente, salveremmo meno vite. E questa equazione vale sempre, indipendentemente dal corona virus.
Le pandemie ci sono sempre state e sempre ci saranno, dobbiamo solo decidere come affrontarle. L’ultima risale al non lontano 1969, infettò 250 milioni di persone e di queste circa 1 milione morirono. Gli organi di informazioni, all’epoca, diedero poco risalto alla cosa e la vita proseguì più o meno normalmente, (attività produttiva, sport, scuola, ecc).
Oggi invece si è deciso di dare massima informazione e adottare un blocco drastico delle attività per ritardare o fermare la diffusione del virus, come in Cina.
Ma è possibile applicare il modello cinese anche in Italia?
La Cina a differenza dell’Europa rappresenta un caso a sé. La malattia si e sviluppata a Wuhan (11 milioni di abitanti) e nella provincia dello Hubei (60 milioni) e sono riusciti a”confinarla” in queste zone grazie alle misure che solo un regime dittatoriale, può essere in grado di adottare: la gente veniva reclusa in casa e non poteva uscire per nessuna ragione, era obbligata a misurarsi la temperatura due volte al giorno e tramite un’applicazione comunicarne il valore alle autorità. Si poteva acquistare solo online e solo beni di prima necessità che venivano poi lasciati sul pianerottolo.
Inoltre il governo cinese era in grado di tracciare gli spostamenti degli individui tramite un’altra applicazione che tutti dovevano installare e per chi violava le prescrizioni ed usciva di casa, la polizia arrivava a mettere i sigilli alla porta.
Regole che non sono applicabili in Europa, dove anche l’aumento dell’invecchiamento della popolazione certamente, non aiuta a contenere il numero di deceduti.
Non dimentichiamo, poi, che i cinesi, a differenza nostra, sono un popolo estremamente ligio nel seguire regole e disposizioni che gli vengono impartite. Per non parlare della loro organizzazione: in 10 giorni hanno costruito da zero un nuovo ospedale con una capacità di mille posti letto.
Analizzando la questione in maniera razionale ad oggi, 17 marzo, data della stesura di questo articolo l’età media dei deceduti è di 80 anni ed i decessi di persone con età inferiore ai 50 anni sono stati 17, tutti con gravi patologie pre-esistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità).
Allora io mi chiedo: non sarebbe più opportuno proteggere la fasce della popolazione più a rischio senza strangolare il paese? Appena si allenteranno le misure il virus tornerà o si pensa di far rimanere la gente chiusa in casa un anno con i militari a sorvegliare le strade? La strategia intrapresa presenta inevitabilmente dei limiti temporali ed inoltre sembra che il virus si trasmetta anche attraverso il particolato presente nell’aria, quindi cosa facciamo sigilliamo anche le finestre?
Seguiamo pure le regole alla lettera per un mese, un mese e mezzo ma se non funziona cosa faremo? Facciamo morire la gente di fame in casa? Gli spariamo quando esce dalla porta?
Purtroppo finchè non si creerà l’immunità di gregge in buona parte della popolazione il virus dilagherà senza trovare resistenze. Pensate che Boris Johnson ed il premier olandese vogliano uccidere gli anziani perché sono dei pazzi sadici? (Anche se hanno dovuto in parte fare retromarcia sull’onda emozionale scatenatasi nell’opinione pubblica).
In Italia, ad oggi 17 marzo, ci sono oltre 30.000 positivi confermati,che aumenteranno in maniera esponenziale nei prossimi giorni e più morti dei cinesi. Questo significa che abbiamo una marea di persone positive in circolazione con sintomatologia lieve o addirittura asintomatica che non sono noti. E non è neppure vero che la mortalità in Lombardia è più alta che in Cina, semplicemente non abbiamo il dato reale dei positivi.
A me sembra che il problema si sia affrontato in maniera troppo semplicistica, non sarebbe stato meglio destinare tutte le risorse per proteggere le categorie più a rischio e potenziare/costruire nuovi presidi sanitari?
Lasciano da parte, per un momento, l’aspetto sanitario ad oggi non ho ancora sentito nessuno, a livello istituzionale, che abbia parlato delle ricadute economiche che si avranno o che abbia affrontato questioni come:
1. stime dell’impatto che queste misure avranno sul PIL nazionale,
2. previsioni di quali saranno le misure economiche a cui i cittadini saranno sottoposti una volta finita l’emergenza,
3. per quanto tempo le misure adottate saranno sostenibili
Questa emergenza da corona virus ha, a mio avviso, messo in evidenza tre cose:
– l’improvvisa presa di coscienza della nostra fragilità di far fronte a catastrofi naturali. Di qualsiasi tipo esse siano (sanitarie, ambientali, ecc.)
– La brutale presa di coscienza della morte. Nella civiltà contadina, fino al dopoguerra, la morte era vissuta come parte della vita, era un fatto naturale ed era accettata come una cosa inevitabile con la quale convivere ogni giorno. Oggi nessuno, preso dalla frenesia del lavoro e impegnato nella ricerca del benessere materiale, vuole pensare alla morte e non vuole neanche sentirne parlare. All’uomo contemporaneo non è più consentito avere un’esperienza della morte. Ne ha una conoscenza solo spettacolare, priva di reazioni emotive, attraverso i film e la televisione. La morte reale non viene quasi mai vissuta. Il moribondo viene preso in carico dall’ospedale e fatto morire qui o negli istituti di ricovero, solo con se stesso e lontano dalla società. Il Coronavirus, ora, ci ha riavvicinati al pensiero della morte e costretti a fare conti con la nostra mortalità.
– Può un sistema consumistico-industriale reggere uno stop della produzione e dei consumi? E per quanto tempo prima che ciò determini danni irreversibili al sistema economico del paese stesso?
Si è scelto di salvare quante più persone possibile, (almeno finché il sistema sanitario terrà), è questo è un dato di fatto encomiabile ma ciò non elimina il contagio del virus, ne dilata solo i tempi. E questa reclusione forzata a cui sono sottoposte le persone, per sua natura esseri sociali, determina un aumento della loro aggressività, forme di depressione e altre patologie.
Dobbiamo fare molta attenzione che nell’inseguire questa chimera non si finisca per distruggere il nostro paese. Passata l’euforia delle canzoni sui balconi, resteranno le file ai supermercati ed il senso di impotenza. Il gradino successivo alla psicosi è il panico che nella malaugurata ipotesi inizi a diffondersi potrebbe portare a conseguenze inimmaginabili.
Con queste riflessioni non voglio assolutamente sostenere che l’economia sia più importante della vita umana, ma è indubbio che il lavoro e l’economia sono la linfa vitale stessa del nostro sistema. Pertanto si dovrà, a breve, trovare un compromesso che tenga conto di ciò se vogliamo che il nostro paese continui a procedere nella direzione a cui siamo stati abituati.
ultimo aggiornamento 18/03/2020